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Contro un attacco si risponde con amore!

Quando praticavo Judo agonistico ero convinto che quest’arte marziale fosse efficace in caso di un confronto reale corpo a corpo. Spendevo ogni istante per perfezionare le tecniche. Velocità, potenza e precisione. Credevo che le mie vittorie dipendessero da una pratica costante e da un allenamento duro. 

 

In effetti i risultati ci sono stati e ho avuto le mie soddisfazioni.

 

Le mie teorie avevano tutta l’apparenza di essere vere e i risultati lo dimostravano e le rafforzavano. Ho visto altre arti marziali e ho giudicato la loro efficacia a volte provandole e  molte altre volte da osservatore esterno. Ho pensato anche che per una lotta corpo a corpo potevo fare qualcosa data  la mia conoscenza del Judo.

Ma per attacchi a distanza? Come mai le persone cresciute per strada e senza alcuna conoscenza delle arti marziali hanno avuto alcune volte la meglio in uno scontro reale? Preparazione  fisica o velocità?

 

E la tecnica che ruolo ha in un contesto reale?

Ho avuto l’opportunità di avvicinarmi all’Aikido e ho notato che quest’arte marziale  poteva compensare quella mancanza di azione efficace e difensiva di attacchi sferrati a distanza. 

In ogni caso, sentendo parlare i praticanti delle varie arti marziali, ho potuto capire che c’è un fattore comune che tutti condividono: il valore delle tecniche.

Questo modo di interpretare l’efficacia delle tecniche, secondo me, entrava in conflitto con il significato di Kata, la “forma”. Se esisteva la costante attenzione a migliorare la tecnica per renderla più efficace di prima, a che serviva imparare la forma che si tramanda da generazioni? Ho sentito molte spiegazioni a riguardo ma nessuna mi ha convinto. La più probabile secondo me è che il Kata è la base su cui studiare i movimenti ma devono essere solo una concreta indicazione didattica.

Mi piace pensare che i Kata siano solo uno strumento per facilitare l’insegnamento delle tecniche. Se però le tecniche cambiano, in quest’ottica, anche i Kata dovrebbero cambiare. In realtà c’è da dire che la “forma” non implica “l’immutabilità nel tempo”. 

Allora come mai, pensando sempre al Judo, le tecniche cambiano e non i Kata?

Penso che ogni significato di forma e di movimento tecnico esistano finché noi continuiamo ad attribuire loro un significato per rafforzare la nostra voglia e capacità di essere migliori di altri.

"Tanto più le tecniche che eseguo sono perfette, tanto più padroneggio l’arte, tanto più sono maestro agli occhi degli altri..."

Il punto è che i Kata in Aikido, per quel che ne so, sono solo con le armi – buki waza. Le tecniche senza armi invece non hanno un Kata. Questo mi fa pensare che l’Aikido, a differenza di altre arti marziali, lascia libera l’interpretazione di esecuzione delle tecniche di tachi, hanma handachi e suwari waza e che sono in continua e costante evoluzione.

D’altronde non è anche quello che voleva O-Sensei? Disse di usare l’Aikido come strumento per diffondere Amore nel mondo. 

Chi ha mai approfondito ciò che il Maestro ha detto in termini spirituali?

Nel mio percorso di crescita in questa magnifica arte marziale, ho imparato molte cose. Una di queste è che ogni passo che faccio deve essere nella direzione che mi spinge a elevarmi verso un obiettivo ben chiaro. 

Il primo forte impatto che mi aprì gli occhi, lo ebbi all’esame per il III dan, quando il mio maestro mi disse: “Bravo Pappa, hai eseguito delle tecniche perfette. Ora però comincia a praticare l’Aikido!!! "

In un attimo avevo perso la sicurezza in me stesso, aprendo delle crepe che man mano hanno smantellato quei “credo” che avevo costruito per rimanere in piedi e stabile. E pensare che avevo fatto tutto questo lavoro per sentirmi più sicuro.

Accadde qualcosa per cui la pratica del mio Aikido si modificò nell’essenza. Non cerco più la tecnica perfetta, ma un’unione perfetta con l’avversario in modo tale da poter controllare e annullare il suo attacco senza arrecargli dolore.

Ma chi può dire che una tecnica sia perfetta? Dall’esterno si può solo giudicare guardando la forma, ma vivendo l’esecuzione della tecnica, lo può dire solo uke.

 

Dopo un po’ di anni, mentre ero contento fare questo tipo di pratica nel Dojo, stavo vivendo invece cose orrende fuori dal Dojo, come la separazione, ansia e nervosismo dovuti a continui scontri verbali.

Un giorno una mia allieva mi disse: “Maestro, sei tanto bello da vedere quando ti muovi sul tatami che è un piacere vivere la tua leggerezza e l’efficacia dei movimenti, ma quando metti piede fuori dal tatami diventi bruttissimo, ti sparisce il sorriso e torni a scontrarti nel peggiore dei modi. Perché non porti l’Aikido nella tua vita privata?”

Fu il secondo shock che, per mia fortuna, mi destabilizzò. 

Aveva ragione. Insegnavo a ricevere un attacco senza creare opposizione e senza offendere l’avversario e poi nella mia vita privata facevo il contrario. Dove era la mia coerenza? Come potevo insegnare qualcosa che io in primo luogo non eseguivo? Come può un genitore insegnare più di quello che sa?

La risposta c’è. Si chiama teoria. Se ci si crea una teoria essa può diventare la realtà e quindi ci sono problemi a insegnarla.

 

Difficile invece è insegnare ciò che si è perché questo presuppone la consapevolezza.

 

La conseguenza a tutto ciò è che la mia didattica è notevolmente cambiata, proprio perché io stesso sono cambiato …

 

Periodo iniziale semplice con la spiegazione delle tecniche.

•    Gli allievi più inesperti si trovavano a loro agio a studiare le tecniche e concentrarsi solo sul movimento biomeccanico.

•    La loro crescita in quest’arte marziale dipendeva dalla loro agilità e capacità di coordinare i movimenti.

•    Volevano vedere i risultati immediati 

•    Spiegazione delle direzioni di spostamento e dell’equilibrio

Periodo di crescita interiore – grande difficoltà per gli allievi.

•    Non banale/difficile

•    Periodo difficile

•    Autoselezione all’ingresso del corso

•    Veramente motivati

•    Sfida personale

•    Spiegazione sull’essere presenti, coerenti con l’obiettivo.

•    Dualismo comportamentale perché concentrato su "ciò che avrei voluto essere". 

 

Metabolizzato il percorso – adattato la didattica agli allievi.

•    Cambiato nella didattica

•    Sono sulla via e la vivo giorno dopo giorno con i miei allievi.

•    Morbido

•    Modo di insegnare

•    Assestando – cambiando tiro

•    Calibrato verso allievi che ho davanti

•    Meno pretesa dagli allievi

•    Grandi progressi degli allievi

•    Sulla strada nella didattica su misura x tutti. Pretesa sul potenziale.

•   Spiegazione e esercizi pratici sull'applicazione della propria energia e sulla percezione dello            squilibrio dell’avversario.

 

 

Il mio obiettivo oggi è quello di imparare a conoscermi e a vivere la vita nella consapevolezza dell’amore. La pratica di tutti i giorni non cambia. Quello che cambia è la qualità di reazione al caos esterno e interno.

Non possiamo fingere di fare qualcosa che non sappiamo fare e l’Aikido è il mio specchio e strumento di crescita.

Oggi esprimo l’Aikido come un valido strumento che soddisfa chiunque; per chi vuole solo uno sport che li mantenga fisicamente allenati, propongo la tecnica senza forzature ma vera nella risposta. Per chi vuole invece respirare l’armonia dell’anima, propongo la stessa tecnica portata in astratto per utilizzarla contro i nostri limiti. In ogni caso propongo un confronto esterno o interiore. Chi sceglie la strada di una crescita interiore, intraprende quella più difficile ma è anche l’unica che irradia i risultati ottenuti in ogni istante della sua vita e in tutte le situazioni.

L’armonia del movimento corrisponde secondo me all’armonia interiore. Oggi i miei allievi sono consapevoli di questo e capiscono la difficoltà di praticare in armonia. A volte si demoralizzano a volte invece la prendono come sfida personale.

Questo tipo di pratica mette alla prova il proprio credo, tutto ciò che abbiamo costruito da quando siamo nati, portandoci dietro un bagaglio di tradizioni e condizionamenti vecchi di migliaia di anni.

 

Testimonianza di ciò è che i miei allievi hanno messo in pratica un atteggiamento interiore più sano e integro che li ha portati a vincere con minor sforzo in altri sport e nella loro vita privata.

 

Sono consapevole che questo tipo di percorso è adatto a tutti, ma non tutti sono consapevoli che hanno le stesse grandi potenzialità di vivere il presente nella sua interezza e integrità.

L’Aikido nonostante tutto li spinge a essere presenti nell’attimo in cui attaccano o reagiscono ad un attacco. Il passo poi per estendere questa presenza in ogni momento della propria vita, è breve.

 

Oggi vedo che nei Dojo si continua a pensare sempre alla tecnica come una possibilità per realizzare se stessi.

Si sceglie tra la scuola di tizio piuttosto che di caio, una è più forte dell’altra, una è la sola scuola riconosciuta e le altre sono solo surrogate.

La mia domanda è: quanti di loro utilizzano questo strumento per una propria crescita interiore?

La vera vittoria secondo me non è vincere un combattimento per un movimento biomeccanico più efficace di un altro avvalorando se stessi di fronte all’avversario, ma vincere su se stessi, combattendo contro le proprie reticenze eliminando i propri limiti, aprendo così la possibilità di attirare a se armonia e amore.

 

È mia opinione che il maestro è solo colui che viene riconosciuto come tale dagli altri. Non è certo un pezzo di carta o un grado di cintura che conferiscono il titolo di maestro.

 

Il vero potere secondo me è quello che ci permette di diventare maestri di noi stessi. Questo potere ce lo abbiamo tutti ma dobbiamo riportarlo alla luce con l’aiuto di qualcuno o di qualche strumento. Il mio strumento è l’Aikido.

 

Guardo in avanti e vedo che il mio percorso di crescita è sempre più nitido e nello stesso tempo i risultati dei miei allievi e la loro luce negli occhi mi confermano che per il momento la Via è quella giusta.

 

Alessandro Pappa 

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